Letteratura

Arthur Machen
Il Grande Dio Pan
(The Great God Pan)
Intr. di H.P. Lovecraft
Ed. Tre Editori, Roma 2016
Prezzo di copertina: € 19,00
http://www.treditori.com/dio-pan.html

RECENSIONE di R. De Michele

Trama: il dr. Raymond compie un esperimento sulla figlia adottiva Mary, al cospetto del suo amico dr. Clarke. In una villa sperduta nel mezzo della natura gallese la opererà al cervello per metterla in contatto con il "dio Pan", depositario delle antiche forze primordiali della natura. Questo esperimento avrà conseguenze terrificanti anni dopo, in un sobborgo di Londra.
La lettura di questo libro - edito in Inghilterra nel 1894 - è stata non tanto la scoperta dell'ottima traduzione di questo testo non molto conosciuto in Italia, quanto la ottima scelta editoriale della 'Tre Editori' di aver affiancato al racconto una serie di altri scritti e traduzioni restituendoci, al termine, una vera e propria antologia sul tema di Pan. Fra questi scritti va, infatti, segnalato il brillante saggio di indagine letteraria Il risveglio della selva, di Susan Johnston Graf.
Arthur Machen ebbe la sola 'sfortuna' di essere stato connazionale e contemporaneo di R.L. Stevenson, autore di 'Jack lo squartatore' e de 'Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hide'. Il suo stile venne appunto ingiustamente paragonato a quello, tralasciando le tante altre caratteristiche interessanti della sua ricerca di trame e strutture.
Notevole, a questo proposito, la riflessione letteraria in prefazione all'edizione del 1916 dello stesso Machen: "... poiché la nostra arte è quella delle lettere, dobbiamo esprimere ciò che sentiamo attraverso la mediazione delle parole. E una volta accettate le parole, cadiamo nella regione della comprensione logica, siamo costretti a escogitare incidenti, circostanze e trame, per «creare una storia», e traduciamo una collina in un racconto, concepiamo amanti per spiegare un ruscello, volgiamo il perfetto nell'imperfetto. Il musicista è senza dubbio più felice nel praticare la propria arte, se non è il miserabile schiavo di quelle miserabili follie che imitano il muggire del bestiame per mezzo di qualche grosso ottone. Il vero musicista esercita un'arte perfetta: per lui non esiste alcuna discesa nella logica delle trame."

Le immagini del volume (16 opere) sono ben scelte e di buona qualità di stampa.

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Dalla presentazione editoriale: "Uno straordinario esperimento spalanca la porta dell'inconscio su una natura pagana e selvaggia, governata dal caprino dio Pan che semina un terrore osceno e arcano nella Londra di Jack lo Squartatore.
Un capolavoro del soprannaturale e dell'occulto in un'edizione illustrata e annotata, arricchita di un'antologia e approfondimenti che svelano un mondo mitico appena dimenticato, pronto a un appassionante risveglio."

"Probabilmente la migliore storia horror in lingua inglese". 
Stephen King

 

 

da Miti e personaggi del mondo classico

di E.M. Moormann, W Witterhoeve

 

SILENO, di G. Pascoli

[1904, dai "Poemi Conviviali", originale in latino,
​rielaborazione italiana di Maurizio Pistone
del Carme IV del "CATULLOCALVOS"].

 

- Figlio di Pan, figlio del dio silvestre
che nei canneti sibila e frascheggia,
là, dell'Asopo, e frange a questa rupe
il lungo soffio della sua zampogna;
tornar nell'ombra io volli a te, Sileno,
ora che tace la diurna rissa
del maglio e della roccia, or che non odo
più lime invide, più trapani ingordi;
or che gli schiavi qua e là sdraiati
sognano fiumi barbari; e la luna
prendendo il monte, il monte di Marpessa,
piove un pallore in cui tremola il sonno.
Sono un fanciullo, sono anch'io di Paro;
Scopas il nome; palestrita: ed oggi,
coronato di smilace e di pioppo,
correvo a gara con un mio compagno:
e giunsi qui dove gl'ignudi schiavi
Paflàgoni con cupi ululi in alto
tender vedevo intorno ad una rupe
le irsute braccia ed abbassar di schianto.
Ecco, il compagno rimandai soletto
al grammatista e al garrulo flagello;
ma io rimasi ad ammirar gl'ignudi
schiavi intorno la rupe alta ululanti.
Su sfavillìo di cunei l'arguto
maglio cadeva; e io seguia con gli occhi
l'opera grande della breve bietta,
ch'entra sottile come la parola,
poi sforza il masso, come quella il cuore;
quando, con uno scroscio ultimo, il blocco
s'apri, mostrando, come in ossea noce
bianco gariglio, te di Pan bicorne
figlio, o Sileno: e tu ridevi al sole
riscintillante sopra l'ulivete;
e tu puntavi con l'orecchie aguzze
l'aereo mareggiar delle cicale.
Ma che mai cela questa rupe? Io venni
a domandarti perché mai sorridi
solo, costì, col tuo marmoreo volto,
e come tendi le puntute orecchie
al sibilìo de' fragili canneti.
Od altro ascolti e vedi altro, Sileno? -

Scopas, alunno dell'alpestre Paro,
così parlava al candido Sileno
figlio improvviso della roccia, nato
sotto martelli immemori di schiavi.
Il giovinetto gli sedea di contro
sopra un macigno, con al vento i bruni
riccioli, in mezzo a molti blocchi sparsi,
come il pastore tra l'inerte gregge.
E gli rispose il candido Sileno,
o parve, a un tratto con un volger d'occhi
simile a lampo che vaporò bianco
e scavò col fugace alito il monte.
Ed a quel lampo il giovinetto vide
ciò che non più gli tramontò dagli occhi.

Vide, sotto la scorza aspra del monte,
vide il tuo regno, o bevitor di gioia,
vecchio Sileno: una palestra: in essa
sorprese il breve anelito del lampo
in un bianco lor moto i palestriti:
l'ombra seguace irrigidì quel moto
per sempre; e stette nelle braccia tese
degli oculati pugili già pronto
lo scatto di fischiante arco di tasso,
ed alla mano al lanciator ricurvo
restò sospeso impaziente il disco
in cui pulsava il vortice di ruota,
ed alla pianta alta dè corridori
l'impeto rapido oscillò del vento:
gli efebi intenti a contemplar la gara
ressero sul perfetto omero l'asta.
In tanto a luminosi propilei,
con sul capo le braccia arrotondate,
vedeva lente vergini salire:
la pompa che albeggiò per un momento,
eternamente camminò nell'ombra.

Vide, sotto la scorza aspra del monte,
emersa dalle grandi acque Afrodite
vergine, al breve anelito del lampo
che la scopriva, con le pure braccia
velar le sacre fonti della vita:
l'ombra seguace conservò per sempre
la dolce vita ch'esita nascendo.
E vide anche la morte, anche il dolore:
vide fanciulli e vergini cadere
sotto gli strali di adirati numi,
e tutti gli occhi volgere agl'ingiusti
sibili: tutti: ma non già la madre:
la madre, al cielo; e proteggea di tutta
sé la più spaurita ultima figlia.
In tanto le Nereidi dal mare
volsero il collo, con la nivea spinta
del piede su le nuove onde sospesa;
mentre al bosco fuggivano le ninfe
inseguite da satiri correnti
con lor solidi zoccoli di becco;
e un baccanale dileguò sul monte.

Il giovinetto udì strepere trombe,
gemere conche, ed ascoltò soavi,
tra l'immensa manìa bronzosonante,
squillare i doppi flauti di loto.
Ed ecco il monte ritornò com'era,
tacito, immoto, se non se nel fosco
gomito d'una forra anche appariva
l'ultimo bianco di lucenti groppe
di centauri precipiti, e sonava
un quadruplice tonfo di galoppo,
che poi vanì. Ma quando tacque il tutto,
oh! come sotto il velo di grandi acque,
s'udiva ancora eco di cembali, eco
di timpani, eco di piovosi sistri;
ed euhoè ed euhoè gridare
come in un sogno, come nel gran sogno
di quelle rupi candide di marmo
dormenti nella sacra ombra notturna.
E con quel grido si mescea nell'eco
il lungo soffio della tua zampogna,
o Pan silvano; e percotea la fronte
del sorridente bevitor di gioia,
e del fanciullo che sedea tra i blocchi,
quale un pastore tra l'inerte gregge.