Il dio Pan, grande eccitato-eccitatore: dalla pulsione alla psiche

di Édith Lecourt,
Psicologa, professoressa di psicopatologia, Direttrice del Centro di Ricerca in Psicologia, Univ. 'Louis Pasteur', Strasburgo.

[Estratto da Psychologie médicale, 23/6, p. 709-714, 1991, poi rivisitato nel 1999.  Traduzione dal francese di R. De Michele].

 

[Nota. Questa conferenza sul dio Pan è stata inserita nella Formazione per il Diploma d'Università d'Arte in Terapia e in Psicopedagogia, promossa dal Centro di Formazione Continua dell'Università René Descartes (Paris V). Il testo (qui in forma ridotta, ndt) è stato distribuito dalla stessa studiosa nel corso di un seminario di Musicoterapia tenutosi a Napoli nel 2000.]

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IL DIO PAN, GRANDE ECCITATO-ECCITATORE: DALLA PULSIONE ALLA PSICHE

Per introdurre questo studio, vi invito a invocare il dio Pan, con quest'inno che gli ha consacrato Pindaro:

"Io canto Pan, il ninfageta, essere caro alle Naiadi, orgoglio dei cuori d'oro, principe di una musa leggiadra. Dal suo flauto eclatante versa un poema pieno di divinità; dopo, a passi leggeri, si slancia per i canti sugli antri ombrosi, movendo il suo corpo infinitamente cangiante, il bel ballerino, il bel viso risplendente della sua bionda barba: il panico di Eco sale fino allo stellato Olimpo, inonda la folla degli dèi del Monte d'una musa immortale. La terra tutta intera ed il mare sono pregni della tua arte, perché tu, tu sei il sostegno di tutto. Oh, sì, Pan, Pan!" (Poetae Melici Graeci, D.L. pag. 936, in Philippe Borgeaud, 1979, p.217-218).

 

"Pan è un essere ibrido, mostruoso: bimbo peloso con il viso di capra, riempie di terrore la propria madre che l'abbandona alla nascita. Dell'animale Pan ha le zampe, il sesso, la piccola coda, il pelo e la testa; dell'uomo ha la stazione eretta, il busto e le mani" (P. Borgeaud, cit. 82-83). La sua vista crea terrore, sarà nascosto in una grotta ed avrà, come solo mezzo di comunicazione, i suoni: i rumori e il silenzio del dio Pan seminano il panico. Tuttavia dimostra di rallegrare tutti gli dèi dell'Olimpo, dimostrando il valore del suo nome: Pan, colui che genera l'umanità.

Philippe Borgeaud mostra come il mito di Pan s'inserisce nella storia dell'Arcadia, terra che rappresenta, per i Greci, l'immemorabile antichità, prima dell'avvio cronologico dei tempi. Ma quest'origine non è l'Eden, il paradiso, ma, al contrario, è caratterizzata dal suo ingrato arrivo: "...l'Arcadia, lungi dall'essere un luogo idilliaco, è una terra arida e inospitale, che ospita una popolazione rude, primitiva, quasi selvaggia, presso cui la musica ha la funzione di accogliere, addolcire i costumi." (ibid. p.19). Via selvaggia, nomade, a-sociale, che sarà tuttavia una culla della civilizzazione, nascita di un popolo e della sua cultura.

 

Così, "Erede diretto della notte originale, l'Arcadia ha il privilegio, all'istante, di far rivivere all'umanità la sua nascita. E', sul piano culturale, sulla soglia. Un passo in avanti, ed ecco il Greco democratico, cosa importante agli occhi della storia; un passo indietro: ed eccolo ritornato selvaggio." (ibid. p.39).

 

UN PROBLEMA CULTURALE: L'IBRIDO E LA QUESTIONE DELLA DIFFERENZA

La genealogia arcadica pone il problema della differenza, dalla bestia all'uomo.

Il primo arcadico, Pelasgo (1), costruisce capanne ed inventa i vestiti che significano, per questo, che l'uomo non sopporta più la sua pelle animale. Suo figlio Lycaon (2) fonda la prima città, istituisce i giochi del Liceo (3); è per lui che la strada sociale è inaugurata, con le sue regole. Quest'istituzione del potere e dei suoi limiti lo spinge ad interrogare gli dèi: si domanda se Zeus differenzia veramente la carne dei sacrifici che gli sono offerti. Per provare la sua ipotesi, mischia sull'altare la carne di un lattante umano alla carne animale. La risposta del dio non si fa attendere ... Zeus lo trasforma in lupo. Seguiamo la descrizione di questa metamorfosi da Jupiter stesso: "Spaventoso, se ne fugge e dopo aver guadagnato la silenziosa campagna, si mette a urlare: invano si sforza di parlare; tutta la rabbia del suo cuore si concentra nella sua bocca; la sua sete abituale di carne si rivolge contro il gregge e si placa nel sangue. I suoi vestiti si mutano in peli, le sue braccia in zampe; divenuto un lupo, conserva ancora sembianze della sua antica forma." (Ovidio, Le metamorfosi, Libro I, 15).

Così il divorare è riservato all'animale: un rituale sarà istaurato per richiamare questa regola agli Arcadici: colui che mangia carne umana è bestiale, sarà trasformato in animale. E' il divieto di divorare, ma è anche introduzione della dimensione del rito, dimensione simbolica che non deve essere confusa con la realtà. Per precisare questo rito sono stabilite due differenziazioni:

- nello spazio: la differenza tra carne animale e carne umana;

- nel tempo: la metamorfosi che tocca il dannato dura nove anni...

La numerosa discendenza di Lycaon si urterà ancora con questa necessaria presa di coscienza delle differenze e del loro rispetto: così sua figlia Callisto unendosi a Zeus è picchiata da Era che la trasforma in orso, poi cacciata da Artemide. Se l'unione uomo/dio è mostruosa - bestiale anche -, come più tardi l'incesto, vuol dire che Callisto è stata consacrata ad Artemide, madre degli animali, per essere iniziata, e che questa "caccia amorosa" con Zeus viene così a rompere un legame omosessuale. Il superamento dei limiti fa oscillare dall'uno all'altro. L'ambiguità della sessualità nel regno divino, umano, animale, è posta: l'ibrido Pan, ne costituisce un segno manifesto.

Un altro livello di queste prime tappe del processo differenziatore concerne le relazioni che legano le generazioni:

- è vietato sacrificare/divorare la propria progenie;

- le unioni sessuali devono essere regolamentate (specialmente fra dèi e uomini).

E' un buon esempio dell'evocazione di primitivi tentativi per istituire un ordine simbolico. G. Rosolato ha sottolineato come queste regolamentazioni - il divieto dell'incesto, in particolare - s'iscrivono in questo quadro: "Ancora bisogna notare che questo sistema significante nel quale s'inserisce il soggetto possiede la proprietà di generare nuove combinazioni. La creatività è quella degli stessi sistemi significanti. La proibizione dell'incesto indica la forma esemplare di questa creatività nella generazione sessuata. Essa implica allo stesso tempo la sostituzione degli oggetti del desiderio, fondamento del simbolico, a partire da un oggetto e dal desiderio inconscio afferente: dunque a partire dal rifiuto sessuale." (1969, 346).

Se bisogna rinunciare a ricercare l'oggetto sessuale fra gli dèi (l'onnipotente delle precedenti generazioni), è dalla fondazione della comunità umana che viene posta la questione.

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(1) Nota del trad.: secondo i logografi greci, i Pelasgi erano popolazioni non greche che avrebbero abitato la Grecia, la Caria, Creta, la Sicilia e l'Italia centrale e meridionale anteriormente alla immigrazione ellenica in Grecia; si attribuiva loro la costituzione delle mura pelasgiche, cinte murarie (ora dette poligonali) a grossi blocchi di pietra sovrapposti senza cementazione, caratteristiche di alcune città greche (Argo, Tirinto, Micene) o dell'Italia centrale (Volterra); così dette perché attribuite ai Pelasgi. Sono in realtà di età (dal sec. XV al IV-III a.C.) e di origini assai diverse (micenea, etrusca, ecc.).

​(2) Nota del trad.: Lycaon, o Licaone, nella mitologia greca, re dell'Arcadia, figlio appunto di Pelasgo e dell'Oceanina Melibea, primo incivilitore del suo regno; padre di cinquanta figli crudeli e perversi che imbandirono a Zeus, loro ospite sotto le vesti di un mendicante, la carni di un fanciullo da loro ucciso. Zeus per punirli li fulminò e trasformò Licaone in un lupo (Lucania ha la stessa radice greca di ‘lupo’).

(3) Nota del trad.: anche la parola ‘Liceo’ discende dalla stessa radice Lycaon].

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L'abaton, spazio sacro

Nella generazione successiva, Arcas, figlio dell'orso, protetto da Zeus, trasgredirà ancora ad una di queste limitazioni. E questa volta è uno spazio sacro che è istituito: l'abaton, fra l'animale e l'uomo, spazio senza ombra dove è vietato all'uomo entrare, limite della caccia. Ora, Arcas caccerà l'orso nell'abaton. Primo uomo civilizzato, nato da un orso (sarà estratto dal ventre dell'orso/Callisto, dopo la morte di lei, uccisa da Artemide), come Edipo, è la propria madre che lo caccia e l'uccide (qui pulsioni erotiche ed aggressive/distruttrici sono fusionali).

 

L'ordine culturale

Secondo il nostro autore, Philippe Borgeaud, Pan si situa all'interno di questa generazione mitica: "Che Pan, a volte figlio di Crono e d'una nutrice di Zeus, a volte figlio di Zeus e gemello d'Arcas, nessuna mitologia, meglio dell'arcadica, ha potuto suggerire quest'alternanza ad Eschilo e all'autore delle "Cretiques". Pan occupa in effetti, al Liceo, una posizione essenziale determinata dal doppio rapporto verso l'istaurazione dell'ordine culturale: a fianco al dio garante dell'equilibrio cosmico (Zeus), egli appare contemporaneamente solidale al fondatore dell'Arcadia civilizzata (Arcas, figlio di Zeus)." (ibid., 67). Tuttavia ci appare ancor di più come un mostro, ma un mostro... musicista.

 

La musica

Sembra che la musica costituisse, par gli Arcadici, una primitiva istituzione sociale dove il ruolo è di celebrare gli dèi e gli eroi, fino al momento in cui i limiti divengono più precisi, più numerosi e costrittivi. Tuttavia da quest'educazione molto precoce alla lode degli Antichi, sorge il ricordo d'una sorda e selvaggia rivolta, presso i Kynaïtha, guerra civile fratricida, vera carneficina. La rivalità musicale è, a causa dell'emulazione dei solisti, sostituita dal corpo-a-corpo, e il culto degli Antichi avvicina le differenze fraterne, permette l'unisono. L'oralità di cui abbiamo vista l'insistenza di trova così deviata, spiazzata, ed opera ormai come: cantare insieme piuttosto che sbranarsi.

Ora il passaggio del testo di Polibio citato da P.B. descrive l'introduzione del legame musicale come prima socializzazione: "E' un fatto ben conosciuto e comunemente ricordato che, presso gli Arcadici e loro solamente o vicino, i bambini sono esercitati a cantare fin dalla prima età, nei cori e negli inni, celebrano così in ogni città e conformemente alla tradizione i loro dèi e gli eroi dei loro paesi. Essi apprendono dopo a cantare le composizioni di Filosseno e di Timoteo e ogni anno formano cori d'accompagnamento di flautisti della corporazione di Dioniso. Cantano nei teatri e rivaleggiano fra loro con ardore, gli adolescenti nei concorsi a loro riservati e i giovani in quelli della loro categoria. Lo stesso, nel corso della loro vita gli Arcadici, quando sono associati, anziché ingaggiare per i loro divertimenti artisti venuti d'altrove, contano piuttosto sui loro stessi talenti e, a ciascuno di loro, si fissa il proprio turno di canti." (Trad. RdM dal testo in francese di D. Roussel).

(…)

 

René Girard, nell'opera La violence et le sacré, dà prova di particolare sensibilità a questi movimenti arcaici di funzionamento dei gruppi, delle folle. Così l'evento storico considerato dei Kynaïtha può essere considerato come una "crisi sacrificale" caratterizzata dalla confusione, dalla perdita di differenze e dal rischio di aumento, per contaminazione, di quella che l'autore chiama la "violenza essenziale". Così i canti, le feste, i sacrifici istituiti per moderare la violenza costituiscono misure preventive, catartiche. Si può considerare che il personaggio del dio Pan rappresenta il doppio mostruoso, e con lui questa violenza localizzata: le scene di panico che gli piace provocare sono dei modi di rinnovare un simulacro della violenza fondatrice.

 

LA PROBLEMATICA DELLE ORIGINI

E' stato detto che l'impotenza è la sorte dei mortali che si sono uniti con una dea, così l'Inno Omerico ad Afrodite ci ricorda in questo verso: "non vede fiorire la sua vita, l'uomo che insegue dee immortali" (Omero, Hymnes, Le Belles Lettres, p. 144, Paris, 1976). Pan, come Apollo, è abbandonato da sua madre alla nascita, su di una terra isolata e arida, ed raccolto dalla collettività degli dèi. E il passaggio dalla comunità degli dèi a quella degli umani si è realizzato per mezzo dell'ibrido.

(…)

 

Per Apollo, come per Pan, l'uso dello strumento è rapportato allo strumentista solista accompagnato dal coro delle Muse (Apollo) o dal coro delle Ninfe (Pan). Esibizione fallica, certo, ma anche rinvio speculare all'individuo e al gruppo, dall'uno multiplo - strumento polifonico (cetra) o musicista - o multiplo unificato - il coro - e dal multiplo sonoro alla sua messa in scena visibile. E' interessante notare che lo strumento della musica creato si trova ri-creato per ciascuno: e così si dice che Pan raccolse la siringa di suo padre (Ermes) e che la creò lui stesso a partire dalla sua esperienza dolorosa con la Ninfa. Analogamente Orfeo raccoglie la lira d'Apollo, ma non l'utilizza se non trasformandola aggiungendo delle corde. Trasmissione e ri-creazione sono così caratteristiche di questa circolazione d'oggetti nella quale riconosciamo distintamente il paradosso dell'oggetto transizionale, messo in evidenza da Winnicott.

Se, con Orfeo, la matrice dello strumento s'è perfezionata, allargato il suo registro d'espressione, nondimeno vi dimora l'ambiguità del significato; esso resta caratteristico e, similmente, l'impossibile controllo della sua percezione e del suo "potere" effettivo. Lo stesso stimolo sonoro può ancora essere inteso, come lo fece rimarcare il dio Pan, nella sua forma di rumore o di musica, l'ascoltatore respinto, perseguitato o sedotto. Questo può rappresentare il fallimento del musicista. Ma Orfeo crede ancora al potere incondizionato della sua musica, è questo che lo porta a sperimentare, dolorosamente, che la musica, quella del suo strumento "divino", non basta, che l'ordine del simbolico non è l'ordine del reale interno alla discontinuità visiva e sonora, e che se il linguaggio verbale si avvicina alla musica attraverso la poesia, esso non è che un "modo di parlare" (!): se il bimbo Orfeo calmò la voce del fiume, tuttavia non la poté sopprimere. Il suo potere resta limitato, la seduzione momentanea. Addormentato, il tempo nondimeno esiste. La musica di Orfeo non possiede il potere di far rivivere fisicamente la morte. Euridice, lei può rendere la Madre degli Dèi (qui Persefone) più accogliente, ma non può sopprimere il divieto - di girarsi verso Euridice -, la differenza, la separazione.

 

Terminiamo questo studio con l'evocazione della festa panica: la PANNYCHIS, a partire dalle due citazioni dell'opera di Philippe Borgeaud.

"I crotos (rumore agitato), le gelos (risa), l'euphrosyne (buonumore-eccitazione) appaiono così come elementi costitutivi del rituale panico, e non solamente come manifestazioni banali dell'atmosfera di festa che presiede la maggior parte dei sacrifici greci. Possiamo dire altrettanto della danza, che gioca un ruolo fondamentale nel culto di Pan. Il dio manifesta la sua presenza nel coro entusiasta e tumultuoso dei suoi celebranti. La festa istaura un equilibrio: essa congiunge ritualmente i due poteri estremi di Pan, il panico e la possessione, ma si sforzano di non trattenere di ciascuno che l'inverso positivo: presenza senza alienazione e distanza minima rispetto al dio. Attraverso il panico Pan emette un corpo sociale (l'esercito [dei coreuti]), lo frammenta, gli fa perdere i suoi legami: attraverso la possessione, toglie all'individuo la sua propria identità. Nella danza e nella festa, l'individuo, pur restando se stesso, fuoriesce da se stesso: tale può essere il senso della "giusta misura" di cui parla il manoscritto di Farsalo. Il coro rende manifesto in un solo momento il legame sociale (l'ordine collettivo della danza, del rituale) e il legame con un aldilà: comunicazione con la natura e gli dèi. L'Inno di Epidauro ci ha resi attenti al fatto che la musica e la danza di Pan restaurano una continuità menacea. Danza, risa e rumore, nella festa, divengono i segni d'una vicinanza ritrovata". (Philippe Borgeaud, Recherches sur le dieu Pan, Bibliotheca Helvetica Romana, XVII, Institut Suisse de Rome, Genève, 1979, pag. 219)

"Abbiamo suggerito prima che la festa in onore di Pan istaura un equilibrio, a mezza strada tra panico e possessione. Aggiungiamo adesso che quest'equilibrio è teso non tanto ad allontanare il panico e la possessione, ma forse piuttosto, attraverso un rituale che lo evochi, a meglio dominarne gli effetti. La musica avviluppante (flauti, tamburelli, ritmi scanditi da mani o da piedi), la danza simile al salto animale, l'ubriachezza, l'eccitazione erotica, sono attraversate da crisi frenetiche. E lo stesso il tumulto che invade la grotta, tumulto gioioso, diviene nondimeno, durante la notte, chiasso analogo a quello del panico. (...) La pannychis di Pan, festa di iniziazione, più che festa del piacere, ha qui per funzione quella di ricreare echi e fantasmi, vale a dire fenomeni da attribuirsi sia all'assenza del dio, sia alla sua eccessiva presenza." (ibid., 251-252).

 

 

Bibliografia (in francese)

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Borgeaud P., Recherches sur le dieu Pan, 1979, Bibliotheca Helvetica Romana, XVII, Institut Suisse de Rome, Genève.
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Girard R., La violence et le sacré, 1972, Grasset, Paris.
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Rosolato G., L’écoute musicale comme meditation, 1981, Psychiatries, 47/48, 5-6, 15-21.
Rosolato G., Eléments de l’interprétation, 1985, Gallimard, Paris.
Schmidt J., Dictionnaire del la mythologie grecque et romaine, 1965, Larousse, Paris.