Un vero e proprio giallo nascosto fra le righe di Plutarco

La strana morte del grande Pan

di Renato De Michele

Gennaio 2016

 

Ci fu un misterioso caso di omicidio, quasi due millenni fa, ma sarebbe meglio chiamarlo ‘deicidio’, ossia l’uccisione di un dio. Non stiamo parlando di Gesù, si badi bene, il quale all’epoca veniva indicato semmai come ‘figlio di Dio’. Stiamo nel mondo greco antico, in pieno politeismo. Il dio di cui stiamo parlando, infatti, è un dio greco minore, di quelli che venivano chiamati ‘dèmoni’, termine che non è da intendersi, come si fa oggi, nell’accezione che è vicina a quella diabolica, ma come figli di un dio e di un mortale, esseri a mezza strada, quindi, fra il terreno e l’aldilà. Tanto terreno che la parte inferiore del suo corpo era addirittura di una capra, di cui presentava anche le corna. Un essere orribile, al punto che persino la madre, alla sua nascita, si spaventò e lo abbandonò nelle selve, di cui però finì per diventare re e simbolo incontrastato.

Si tratta del dio Pan, un dio trattato non solo dalla mitologia antica, addirittura arcadica e pre-classica, ma anche da tutta una ampia letteratura che lo riguarda, sia antica che moderna.

La morte di un dio non è, e neanche lo era a quei tempi, una cosa comune. Al contrario, possiamo sicuramente dire che quello di cui stiamo parlando è l’unico caso di morte di un dio che la storia e le religioni abbiano mai presentato. Ma proprio per questo ci intriga maggiormente.

Entriamo nel merito. Plutarco, in un suo scritto chiamato De defectu oraculorum, 17, riporta la cronaca di un episodio narratogli da un certo Epiterse, padre del retore Emiliano, in cui vi è l’annuncio, dopo divenuto rapidamente famoso: “Il grande Pan è morto”.

Cerchiamo di vederci più chiaro, dunque, e andiamo a investigare su questo caso di morte singolare, misteriosa e inspiegabile.

Cominciamo col testo completo del passo:

«Quanto alla morte di questi esseri [i dèmoni, ndR], io ho sentito la storia di un uomo che non era né sciocco, né imbroglione. Alcuni di voi hanno ascoltato il retore Emiliano, che era figlio di Epiterse, mio concittadino e maestro di grammatica. Proprio lui (Epiterse) mi raccontò che una volta, navigando verso l'Italia, si era imbarcato su una nave che trasportava merci con molti passeggeri a bordo. Di sera, quando già si trovavano presso le isole Echinadi, il vento cadde di colpo, e la nave, trascinata dalla corrente, giunse nei pressi di Paxos (*); la maggior parte dei passeggeri era sveglia, e molti, terminata la cena, stavano ancora bevendo. All’improvviso si sentì una voce dall’isola di Paxos, come di uno che chiamasse a gran voce Thamus, tanto che restarono sbalorditi. Thamus era un pilota egiziano, ma a molti dei passeggeri non era noto per nome. Chiamato per due volte, dunque, lui stette zitto, ma alla terza rispose a chi chiamava; e quello, alzando il tono di voce, disse: “Quando sarai a Palodes, annuncia che Pan il grande è morto” [Ὁπόταν γένῃ κατὰ τὸ Παλῶδες, ἀπάγγειλον ὅτι Πὰν ὁ μέγας τέθνηκε]. Al sentire queste parole, Epiterse diceva che tutti restarono sbalorditi e si domandavano se eseguire l’ordine oppure non darsene cura. Allora Thamus decise che, se ci fosse stato vento, avrebbero costeggiato la riva in silenzio; se invece giunti là avessero trovato bonaccia, avrebbero riferito la notizia. Quando infine giunsero a Palodes, non un soffio di vento, non un’onda. Allora Thamus, a gran voce, dalla poppa della nave e rivolto verso la terra, annunciò: “Il grande Pan è morto” [Ὁ μέγας Πὰν τέθνηκεν]. Ed egli non aveva quasi finito, che si levò un lamentoso pianto, non di uno solo, ma di molti, misto a stupore. E siccome molti uomini vi erano presenti, ben presto la voce si sparse per Roma. L’imperatore Tiberio, allora, mandò a chiamare Thamus, e tanta fu la sua fede nel racconto del marinaio che volle informarsi e fare indagini su questo Pan: i filologi di corte congetturarono che fosse il figlio di Ermes e Penelope [il dio Pan, ndR].»

(*) Paxos (o Passo) è un’isola ionica della Grecia, situata a sud dell’isola di Corfù.

Ma sembra mai credibile, come abbiamo detto prima, che un dio possa morire? Metaforicamente lo si può anche affermare per dire che la religione ha smesso di essere un punto di riferimento per la trasmissione dei valori, ma qui Plutarco, data la dovizia di particolari ‘terreni’, pare voler dire che il dio della natura era morto per davvero! È esistito anche il caso di Gesù, come ricordato prima, ma fu solo dopo il Concilio di Nicea del 325 che fu dichiarato ‘della stessa sostanza di Dio Padre’: più di due secoli dopo il racconto di Plutarco.

Il dio Pàoni, come era chiamato anticamente in Arcadia il dio Pan (v. anche Ciro A.R. Abilitato, in altra pagina di questo sito), dopo quasi un millennio di vita, muore per bocca di un annuncio proveniente dall’isola di Paxos e diretto al nocchiero egizio.

Come è morto? Nessuno se lo chiede: come se tutti lo sapessero o se lo aspettassero! Era già in agonia?

A bordo della nave una selva di commenti e un vociare concitato. Possiamo anche immaginare che qualcuno magari insiste nel proseguire il viaggio verso l’Italia, infastidito di tutto il ritardo già accumulato per via della bonaccia. Il capitano comprende a volo la situazione e promette che, a meno di altre assenze di vento, andranno dritti in Italia.

Ma riassumiamo ora gli indizi e le cose strane di quest’annuncio.

Primo punto: l’importanza della notizia. Plutarco sottolinea l’attendibilità del racconto e, così facendo, riveste di attenzione ed importanza la notizia; perché?
Secondo punto: l’ora serale non appartiene al mito di Pan. Plutarco ci dice che si trattava di un’ora serale, verosimilmente dopo la nona, un’ora poco ‘simbolica’ se riferita allo stesso Pan.
Terzo punto: un dio muore?! E perché l’Autore non scrive, lì per lì, che un dio non può morire?
Quarto punto: i tre richiami al nocchiero. Prima di ricevere una risposta, il nome di Thamus deve essere ripetuto tre volte: perché? Forse il marinaio già si aspettava un triste annuncio? Pan era già agonizzante?
Quinto punto: si tratta di un semplice messaggio? Al nocchiero viene ‘ordinato’, o pregato, di ripetere l’annuncio appena raggiunta Palodes; perché?
Sesto punto: la seconda situazione di bonaccia era ‘prevista’? La nave incontra una fase di bonaccia ‘casualmente’ anche davanti a quel porto; alcuni traduttori di Plutarco lo definiscono ‘un prodigio’. Plutarco ci vuol dire proprio questo? È un seguace di Pan anche lui?
Settimo punto: non tanto meraviglia, quanto pianto degli abitanti di Palodes. Pan è sempre stato un dio minore e, per giunta, antico già a quel tempo. Donde viene tanto dolore?
Ottavo punto: Pan è grande, ma non un dio. Perché Pan viene chiamato ‘il grande’, ma senza l’attributo più usuale di ‘dio’? Nessuno l’aveva mai chiamato ‘grande’ prima d’allora; invece, ‘dio’ sì.
Nono punto: perché Plutarco tiene a precisare che l’episodio si svolse sotto il regno di Tiberio?
Decimo punto: anche l’imperatore si preoccupa, dal momento che ordina di fare indagini su chi sia ‘Pan il grande’? Anche lui pensa non si tratti del dio?

 

Quante stranezze tutte insieme in questo racconto! Vediamo di affrontarle con ordine.

 

Primo punto: l’importanza della notizia.

Plutarco pare attribuire un’importanza non indifferente a questo racconto. Un mito qualunque sarebbe stato esposto di certo con minori precauzioni. Qui, invece, vi è una buona dovizia di particolari, essendo il riporto di un testimone diretto: ci vuole rendere partecipi di qualcosa di significativo anche per lui; ma l’episodio fu importante anche nel periodo in cui si svolse, dal momento che questo venne vissuto da Tiberio stesso con altrettanto allarme.

 

Secondo punto: l’ora serale non appartiene al mito di Pan.

L’episodio si svolge dopo la cena (che abitualmente avviene molto dopo l’hora nona). È l’ora della morte del giorno o della luce. Ma il dio Pan è un ‘demone meridiano’, di quelli che ‘vivono’ nelle ore pomeridiane (dopo la sexta, quella della siesta, per intenderci) della luce che volge al tramonto: è in quest’ora che si sono sempre svolti tutti i principali racconti mitologici che lo riguardano, oltre che le scene rappresentate dagli artisti (il ‘pomeriggio del fauno’ era divenuto proverbiale, Pan, infatti, nelle scene figurative è molto spesso sdraiato, quando non rincorre le Ninfe). Questo sgombera il campo da contenuti simbolici, a meno di non voler interpretare forzosamente il passo. Il racconto, dunque, sembra proprio narrare un fatto realmente accaduto.

 

Terzo punto: un dio che muore?!

Muore un dio e nessuno, nel racconto, si chiede ‘come mai’, nessuno si chiede ‘chi è stato’, ma solo un vociare indistinto di perplessità, pare dirci, un’accettazione quasi inevitabile, come di una questione attesa. Ma di quale questione si tratta? Un non-detto molto preoccupante.

 

Quarto punto: i tre richiami al nocchiero.

Thamus riceve il richiamo del suo nome per ben tre volte. Sembra la scena di un film. Solo chi attende una cattiva notizia fa attendere l’annunciatore. A rendere carica di suspence la scena è la voce senza volto dell’annunciatore. Possiamo persino immaginare gli sguardi fra i passeggeri e il silenzio caduto sull’imbarcazione.

 

Quinto punto: si trattò di un semplice messaggio?

L’ordine perentorio, o solo paternalistico, è di ripetere l’annuncio all’arrivo presso Palodes. Le navi di passaggio erano solite raccogliere e portare notizie da un luogo all’altro, oltre che i passeggeri. Forse era solamente un modo per passare una notizia qualunque il più rapidamente possibile. Di questo, quindi, non dobbiamo meravigliarci: non è una stranezza. Quel che è strano è che la notizia contiene un fatto sconvolgente: quello che un dio possa morire! Il tutto senza un una sola parola in più a commento, da parte della voce.

 

Sesto punto: la seconda situazione di bonaccia era ‘prevista’?

Ma come fa ‘la voce’ a sapere che la nave sosterà proprio lì, a Palodes, in una costa di passaggio? E come fa la voce, anche di notte, a conoscere il nome del nocchiero? Forse Paxos è un’isola di adoratori del dio, e conoscono tutte le navi e il loro transito? Quella è una nave con tanti passeggeri e, come frequente, di commercianti, di signori che si possono permettere lunghi viaggi. Questo tipo di passeggeri esige che il viaggio sia il più breve e tranquillo, e verosimilmente se ne raccomandano a Thamus che promette così di non fermarsi, a meno di assenza di vento. E il caso vuole che la nave incontri una fase di bonaccia nuovamente lì, proprio a Palodes, consentendo al nocchiero di ripetere nello stesso modo quello che aveva ascoltato all’isola di Paxos. Plutarco stesso sembra descrivere il fatto come una strana coincidenza, ma quasi temendo di sbilanciarsi più di tanto, come sapesse fin troppo bene di cosa si trattava. Da un lato, quindi, ci sembra incredulo, dall’altro pare se l’aspetti.

 

Settimo punto: non meraviglia, ma pianto dagli abitanti di Palodes.

Pan è un dio minore, al punto che chiamarlo ‘grande’ a qualcuno dev’essere parso anche abbastanza ridicolo, tuttavia quando l’annuncio giunge a Palodes, si odono chiaramente gemiti di ‘lamentoso pianto misto a stupore’ provenire da riva. Possibile mai tanta reazione all’annuncio? E perché sulla nave ci si era messi a discutere per la meraviglia, mentre lì addirittura si piange? Cosa sta succedendo? Anche lì c’è un esagerato numero di adoratori del dio?

 

Ottavo punto: Pan è grande, ma non un dio?

È un fatto davvero strano che l’annuncio è: ‘Pan il grande è morto’, seguito da quello di Thamus: ‘Il grande Pan è morto’. Si badi bene che l’annuncio non è ‘il dio Pan è morto’. Il termine ‘dio’ non viene pronunciato, quasi a non volerlo nominare invano. Eppure gli si attribuisce l’aggettivo ‘grande’, mai fatto prima, nemmeno da Pindaro nelle sue Odi pitiche, ricche, appunto, di proverbiali ‘voli pindarici’.

 

Nono punto: sotto Tiberio.

Plutarco termina il racconto dicendoci, quasi di sfuggita, che Tiberio stesso ne ebbe conto. Sembra suggerirci una coincidenza, un ‘guarda caso’: un messaggio al lettore per fargli individuare le coordinate storiche dell’oggetto di cui si parla. Il passo finale ci conferma quanto il dio Pan sia quasi sconosciuto a Roma: per saperlo, Tiberio ha bisogno dei filologi di corte!

 

Decimo punto: anche l’imperatore si preoccupa del ‘grande Pan’, grande può essere solo lui.

A conferma di questo, Plutarco ci dice anche che la reazione di Tiberio è quella di chi, in fondo, capisce bene, nonostante i filologi di corte, che non si tratta di un dio chiamato Pan, dal momento che un dio non può morire, ma di qualcuno su cui è meglio indagare, date le reazioni in giro.

 

Scopriamo le carte: ‘Pan il grande’ sembra proprio essere un nome in codice, il codice di un personaggio del tempo, non certo il dio Pan.

Che Gesù sia morto sotto il regno di Tiberio è un fatto. Che Pan, in quell’epoca, fosse da intendersi Gesù, furono in molti a pensarlo, e per primi i protocristiani del tempo, vedi, ad es., Eusebio di Cesarea, Teodoreto di Cirro, ma anche le teorie moderne sostenute, non senza motivi plausibili, da Luigi Barello (La morte di Pan. Psicologia morale del mito, Fratelli Bocca Ed., Roma 1908), o da Laura Balestra (Cristo e l’Übermensch nell'opera di Friedrich W. Nietzsche, in Ivan Pozzoni, "Frammenti di cultura del Novecento", Gilgamesh Edizioni, Asola MN 2013, pgg.17-23).

Aggiungendo a questo che al mito di Pan era consacrata la città palestinese di Cesarea di Filippo (altrimenti chiamata Paneas, proprio in onore di Pan), così come la grotta sorgente del fiume Giordano, che vide la conversione di Pietro, che vide Veronica miracolata, il quadro di riferimento e di similitudini fra Cristo e Pan si fa più stringente attorno alla possibile similitudine.

Così si comprenderebbero bene anche i timori di Plutarco e questo suo tutelarsi da sbilanciamenti. Lui sottolinea il nome della fonte, la sua attendibilità, e che ne sta facendo solo un fedele riporto: informa noi e si tutela. Nulla lo obbliga a riferirci quest’episodio, ma lui lo fa, non senza rischi per la sua incolumità. L’Autore vive in un periodo di caccia al cristiano, fra il I e il II secolo – il riporto avviene decenni dopo l’episodio stesso –, e non vuole assolutamente far passare il dubbio che lui stesso possa far parte della ‘nuova superstizione’, come il Cristianesimo viene chiamato.

Ma a questo punto, dando per scontato che per ‘Pan’ si debba intendere Gesù, come ‘Dio del tutto e dell’universo’, allora potremmo anche azzardare altre risposte.

Se Pan nascondeva Gesù, allora lo scambio, realizzatosi di fatto nella lingua latina, fra il nome Pan e il vocabolo pane, -is (il pane quotidiano, la moltiplicazione dei pani, l’Ultima cena, etc.) ha motivazioni serie e concrete, ora che il suo acrostico rimanderebbe direttamente al Pater Noster o al Panem Nostrum. E sì che potremmo molto meglio spiegarci la nutrita simbologia paleocristiana legata al pane e al paniere. Quest’ultimo sarebbe, quindi, il simbolo di Dio, come nei dipinti nelle catacombe di S. Callisto e in molte pitture e graffiti del V sec. d.C..

Ora potremmo anche chiederci se Plutarco, per prudenza, non abbia volutamente scollegato il termine ‘dio’ a Pan, magari per allontanare da sé il sospetto che lui potesse ritenere Gesù un dio, oltre che per non nominarlo invano: fu una sorta di autocensura?

Ed, infine, ci chiediamo: ma Plutarco era cristiano? A qualcuno potrebbe anche venire il sospetto, ma è meglio ricordare che il brano comincia con un’introduzione sui dèmoni (‘questi esseri’), fra cui Pan è annoverato dall’Autore stesso. Vero è che il termine ‘dèmone’ va contestualizzato, come detto all'inizio, ma sarebbe una forzatura abnorme quella di pensare ad una equivalenza operata in questo senso da uno scrittore che, fra l’altro, è stato sacerdote del tempio di Apollo a Delfi e uno dei celebratori dei rituali romani dedicati ai loro dei, senza mai aver concesso il minimo spazio ad altre religioni.

Insomma, l'omicidio, o meglio il 'deicidio' di Pan, non sembra, per Plutarco, avere colpevoli.

Ma non è che andrebbero cercati in Palestina?

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Riferimenti bibliografici

1- Laura Balestra, Cristo e l’Übermensch nell'opera di Friedrich W. Nietzsche, in Ivan Pozzoni, “Frammenti di cultura del Novecento”, Gilgamesh Edizioni, Asola (MN) 2013, pp.17-23.
2- Luigi Barello,
La morte di Pan. Psicologia morale del mito, Fratelli Bocca Ed., Roma 1908.
3- Philippe Borgeaud, 
Recherches sur le dieu Pan, Bibliotheca Helvetica Romana, XVII, Institut Suisse de Rome, Roma-Genève 1979.
4- Renato De Michele, 
Orme di Panda, romanzo, Apadi, Panni, Fg, 2004.
5- James Hillman (1972), 
Saggio su Pan, trad. it. A. Giuliani, Adelphi, Milano 1977.
6- Plutarco (I-II sec. d.C.),
De Defectu Oraculorum, in Triakonta, a cura di P. Agazzi e M. Vilardo, Zanichelli, Bologna 2006.

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